L’intervento in oggetto è un edificio destinato alla rimessa di auto storiche da collezione circa
50 esemplari.
Il caso di Granara è molto particolare in quanto i committenti hanno imposto dei vincoli precisi e
fortemente restrittivi in termini economici.
Sin dall’inizio, dai primi incontri e le prime discussioni che si sono tenute, i committenti hanno
posto in primo piano il fatto che volessero costruire in autocostruzione e che la prerogativa
principale del progetto fosse il basso costo, il budget disponibile era di circa tre milioni.
La richiesta era di un locale polifunzionale da utilizzare anche come spazio dimostrativo per
delle tecniche di costruzione che sfruttassero i materiali naturali e i principi del risparmio
energetico, quindi di energie rinnovabili.
Un’altra richiesta non meno determinante per l’evoluzione del progetto è stata la messa al
bando del cemento e del ferro.
Si trattava di concepire un’architettura di piccole dimensioni con materiali poveri e di recupero,
pensando alla semplicità di realizzazione; quasi un meccano, senza però avere delle tecnologie
che lo avrebbero permesso fino in fondo.
Il sito è una zona pianeggiante, racchiusa da pendii sui fronti sud e ovest e delimitata da un
impluvio delle acque che la cinge sugli altri due fronti. La vegetazione presente sul colmo del
pendio a sud e lungo la linea di impluvio difende il luogo dai venti dominanti della stagione
estiva, provenienti da sud-ovest e da quelli invernali provenienti da nord-est.
Il progetto quindi non poteva che sfruttare la condizione favorevole del terreno e della
vegetazione, infatti la struttura si colloca in un punto ben preciso, a ridosso degli alberi lungo la
linea di impluvio, così che rimanga protetto sui tre lati dalla vegetazione e che vi sia la
possibilità di disporre di una grande superficie vetrata verso sud, per poter accumulare la
maggior quantità di sole possibile durante il periodo invernale, dato che il pendio con gli alberi e
le abitazioni a sud è abbastanza distante.
La costruzione è ad un solo piano e si trova rialzata da terra, come se fosse palafittata, perché
una delle questioni da risolvere nel progetto era quella di isolare l’edificio dal terreno dove vi è
forte presenza di umidità. Infatti una delle prime idee fu quella di costruire una vera e propria
palafitta, ma per questioni di economia e di una presunta cattiva condizione del terreno si è
optato per una soluzione ibrida.
Dal muro di innesto del ponte si attesta una piattaforma di circa settantacinque metri quadri, un
rettangolo di cinque metri di larghezza per quindici di lunghezza che presenta due zone ben
definite, una è il passaggio a nord che ha una larghezza di 150 cm ed è uno spazio di percorso
che mette in comunicazione gli elementi presenti sulla piattaforma ed inoltre permette un
discorso di ampliamento futuro della costruzione. L’altra zona è lo spazio che in larghezza va dal
passaggio al limitare della piattaforma e che risulta diviso in più ambienti che sono gli elementi
serviti. La scansione degli spazi dei vari elementi che si appoggiano quasi sulla piattaforma è
determinata dalla maglia strutturale che ha un passo di 250 cm per tutta la lunghezza della
struttura, costituita da sei campate più una irregolare che è quella in prossimità del ponte.
Il passo di due metri e mezzo è stato determinato dal voler utilizzare come materiale per la
struttura della piattaforma le traversine ferroviarie in legno.
Anche la larghezza della piattaforma è determinata dalla dimensione delle traversine, che in
questo caso sono di 350 cm, tagliate a metà per la banda servente.
L’elemento unificante dei singoli spazi è la copertura ad una falda con altezza massima verso
sud che si presenta come una maglia strutturale lignea che affiora dalla pelle in alluminio
sovrastante lasciando scoperto il patio per poi ricoprirsi con un elemento trasparente sopra il
bagno.
La copertura della banda servente a nord è piana e svolge la funzione di raccolta delle acque
meteoriche che in parte vengono recuperate per le funzioni sanitarie e in parte ad aggiungersi
alle acque dello stagno biologico.
Il bagno si presenta come un grosso cilindro a termine di tutta la struttura, ma può essere letto
come elemento di rotazione per un futuro ampliamento della struttura.
Punto di forza del progetto è appunto la possibilità di ampliamento e quindi la flessibilità nel
tempo e nello spazio grazie alla struttura lignea a travi e pilastri e le chiusure verticali modulari
costituite da pallets di recupero che a seconda della funzione che devono svolgere vengono
riempiti con materiali diversi.
Per le murature perimetrali si utilizza un doppio strato di pallets agganciati alla struttura a
modo di pannelli, uno strato interno e uno esterno riempiti con un impasto di terra paglia, si
avrà così una texture di facciata che vedrà l’alternarsi di strisce di legno a strisce in terra-
paglia.
Anche la grande vetrata a sud presenta una scansione determinata dai pallets, sfruttando questa
dimensione per avere un modulo finestra apribile per ogni campata.